lunedì 10 novembre 2014

Il Grottaglie è lì, nel mezzo

L’insospettabile Grottaglie è lì, dietro le migliori del girone, ma – soprattutto - ben al di là della soglia del terrore. E, a quasi un terzo del cammino, il dato comincia a nutrirsi di attendibilità. Quattordici punti sul campo e tredici in classifica diventano così il premio per la freschezza di un gruppo cementatosi velocemente e che, per esplicita ammissione di molti dei suoi protagonisti, si diverte: durante la settimana e la domenica. E sul quale, evidentemente, incidono il lavoro e l’onestà intellettuale di Enzo Pizzonia, tecnico di esperienza e buon senso che, tradizionalmente, riesce ad offrire il meglio di sé nelle situazioni più complicate. Dove, ad esempio, occorre sopperire con altri valori alle carenze di liquido o di organico: traendo da ciascuna pedina a disposizione il meglio. Archiviata l’amarezza di Andria (zero a uno sul campo della capolista), l’Ars et Labor incontra la Sarnese e la supera a domicilio: non è, però, un successo agevole e neppure limpido. Anzi, per dirla tutta, il match si definisce quando l’avversario subisce il secondo penalty e, contestualmente, perde un uomo (l’estremo difensore Nobile interviene fallosamente sul dinamico Facecchia, che però si sta allontanando dallo specchio della porta): cioè, con un gol in più e con la superiorità numerica, il Grottaglie può irrobustirsi e governare. L’avvio di gara, peraltro, è leggermente affaticato. I salernitani leggono meglio determinate situazioni e godono di migliore fluidità. Il vantaggio ospite è persino legittimo: e serve un primo calcio di rigore per riacquisire l’equilibrio del risultato. Poi, il corso della partita cambia decisamente. Il tre a uno finale, infine, è il sigillo a una prestazione non irreprensibile, ma complessivamente intelligente. In cui Faccini e soci capiscono ancora una volta di possedere le qualità per poter badare a se stessi e, innanzi tutto, comprendono di dover necessariamente aggrapparsi a quella quantità venuta meno nella prima mezz’ora di gioco. Senza la quale qualsiasi formazione di quarta serie e, nello specifico, una squadra come il Grottaglie, condannata dalle contingenze a inseguire la permanenza, non potrebbe sopravvivere: è bene ricordarlo.     

domenica 9 novembre 2014

Il Barletta e Sesia respirano

Non è affatto male la partenza del Barletta. Otto punti, nelle prime sei uscite di campionato, significano che l’obiettivo dichiarato è, in tempi di primissime analisi, rispettato. E che qualche margine di lievitazione esiste. Manca evidentemente qualcosa, alla squadra di Sesia: quel graffio in più, quel guizzo che sa scardinare certe gare. E, altrettanto evidentemente, è largo e lungo il percorso che serve a colmare il gap con le concorrenti più titolate. Ma il club, dice chi sa, persegue esclusivamente un campionato tranquillo. Coltivando l’idea di piazzare le fondamenta per un progetto ancora più degno, da disegnare nel prossimo futuro. Ottobre e la prima metà di novembre, però, finiscono per abbassare le quotazioni del gradimento popolare: l’involuzione è evidente, le difficoltà di interpretazione delle singole gare e di penetrazione emergono più vistose. Le sconfitte si accumulano, la classifica si blocca, il cuscinetto di protezione dalla fascia meno abbiente si riduce drasticamente, la piazza s’indispettisce e il tecnico Marco Sesia si ritrova davanti ad una realtà scomoda. Tanto che la società si affanna a ribadire la propria fiducia all’allenatore, almeno in un paio di occasioni. Il derby con il Martina, al dodicesimo chilometro, rischia di diventare così una pietra miliare del cammino del Barletta: ma la squadra, questa volta, è pronta, vivace. Cerca la profondità e la trova immediatamente, costringendo l’avversario a subire per mezz’ora. Dentro la quale si avvicina spesso al vantaggio, spreca una conclusione dagli undici metri e, successivamente, passa a condurre lo score. Le intuizioni sono più chiare, il ritmo c’è. E, quando è tempo di concedersi una pausa, la formazione di Ciullo ne approfitta per pareggiare il conto. Ma dura poco: il Barletta è più compatto, più equilibrato: le dinamiche del match, nel frattempo, si sono un po’ modificate, eppure il divario d’intensità è sufficiente per spiegare l’ennesimo imbarazzo difensivo del Martina e il sigillo del nuovo vantaggio adriatico. Vince il Barletta, perché è sempre dentro la partita, o quasi. E perde il Martina, assente per gran parte dei novanta minuti. Tutto regolare, dunque. Per Sesia e i suoi, un rifornimento di ossigeno, graditissimo. E, di contro, una raccomandazione a non rilassarsi: non tutti gli avversari, cioè, dispongono di una retroguardia sciagurata come quella a disposizione di Ciullo. I progressi vanno verificati: appena possibile.     

domenica 2 novembre 2014

Martina, un punto è meglio che niente



Adesso, il Martina viaggia più tranquillo. Sette punti in tre match, gli ultimi in ordine cronologico, sono ossigeno e tanto buon umore. Conquistati contestualmente, va detto, all’improrogabile rinnovamento tattico della formazione di Ciullo, transitata felicemente da un 4-2-4 carico di insidie e di dubbi ad un meglio spendibile e più rassicurante 4-3-3. Poi, il successo più recente, quello di Torre Annunziata, distribuisce quel quoziente di autostima che, nel corso della stagione, viene sempre utile. E che, ovviamente, certifica la fine di quel periodo di emergenza e di pessimismo che Amodio e soci sembravano ormai condannati a dover frequentare senza una reale prospettiva di rimedio. Anche per questo, dunque, la gara con il Melfi appare un’occasione concreta per agganciare i vagoni della metà classifica. Ma il Martina, tornato a calcare l’erba del Tursi, decolla con fatica, sintonizzandosi a primo tempo inoltrato. L’avvio è pigro, moscio. L’assenza dello squalificato Arcidiacono si avverte abbastanza. La manovra non sgorga e la quantità difetta. Però, la squadra s’industria e, alla distanza, si organizza: finendo per crescere e per impossessarsi delle operazioni. La concentrazione sotto porta, magari, resta un problema: passare in vantaggio si potrebbe, più di una volta. E, invece, riemergono certi spettri del passato recente: Patti, puntato da Caturano, va in difficoltà e lo atterra. Penalty e, soprattutto, espulsione: poco prima dell’intervallo, questa è una notizia scomoda. Bleve, certo, rimedia e, nell’arco di sette giorni, neutralizza il secondo calcio di rigore. Ma l’inferiorità numerica resta. Così come, del resto, resiste lo spirito della gente di Ciullo: che, oltre tutto, a fronte dell’ingresso obbligato di un altro difensore (Caso), decide di non rinunciare a nessuna delle sue pedine avanzate. Il Martina, cioè, mantiene per un po’ la supremazia nel mezzo, perseguendo il vantaggio con sufficiente dedizione: eppure gli equilibri, sul campo, non sono più gli stessi e, soprattutto, l’intensità del gioco si abbassa velocemente. Serve, dunque, un centrocampo più folto e presente, che assista lo scacchiere soprattutto in fase di non possesso: e, dunque, Di Risio va a rilevare l’esterno di punta Carretta. Quanto basta per avvicinarsi ad un’antica verità: se la partita non può essere vinta, è assolutamente conveniente non perderla. E anche questo è un progresso.  

lunedì 20 ottobre 2014

Taranto, rincorsa premiata. Ma il Monopoli se la cerca

Il Taranto, in trasferta, sa farsi rispettare. Con i suoi limiti e le sue grazie. Perché sembra disegnato per giocare. E, se sul prato di casa i riscontri sono parziali (tre pareggi su tre, sin qui), lontano dallo Iacovone i punti arrivano copiosi (vittoria a Vallo della Lucania e Francavilla, un punto a Brindisi e, proprio ieri, pari a Monopoli). Il percorso dell’ultimo match, però, è sdrucciolo, insidioso. La gente di Favo, dietro, si perde due volte e, quindi, rincorre il risultato sino al minuto novantacinque, quando monetizza al meglio i timori di un avversario che, sin dall’avvio della ripresa, rinuncia a giocare. Finendo per chiudersi maldestramente e per punirsi. Come ad Andria, sette giorni prima, il Monopoli cade sui titoli di coda: ma questa volta c’è dolo e non ci sono troppe attenuanti. La squadra di Passiatore se la cerca, punto. E gli jonici ringraziano, finalizzando all’ultima palla un assedio che, da principio, non asfissia la difesa di casa. Ma che, alla distanza, turba Esposito e soci. Senza timori, il Taranto fa la sua gara. Impostando, ma anche lasciando giocare. Procurandosi soluzioni e scoprendosi (il Monopoli si avvicina al vantaggio in un paio di occasioni). Guadagna rapidamente spazi, altrettanto rapidamente li perde. Confronto aperto, si dice in casi come questo. Anche perché, probabilmente, due moduli speculari (4-2-4 in fase di possesso) aiutano ad allargare l’orizzonte. C’è spazio in abbondanza, poco prima della mezz’ora, per Cortese: palla al secondo palo, l’intervento di Mirarco è difettoso e la formazione adriatica passa a condurre lo score. Il Taranto, toccato nell’intimo, non reagisce con convinzione, né con saldezza: lo svantaggio, cioè, spersonalizza la squadra. Anzi, è proprio il Monopoli a insistere e a bissare dagli undici metri (Murano si trova solo di fronte a Mirarco, penalty ineccepibile). Match chiuso, sembra di capire. Intanto, però, il Taranto della seconda frazione di gioco è ancora vivo. O, meglio ancora, motivato. Il Monopoli, invece, abbassa densità e tensione, limitandosi ad assistere e speculando sui due gol in più. La traduzione è facile, al di là delle parole: gli ospiti cominciano a stringere e i biancoverdi a sudare. E a tutelarsi ancora: l’ingresso di un difensore (De Luisi, per la punta Manzo) stravolge lo scacchiere ideato da Passiatore. L’idea di modellare la difesa con cinque uomini, però, trasmette alla squadra la paura del successo e una sete di estrema conservazione del due a zero. Il messaggio è preciso, immediatamente leggibile: sulle tribune e in campo. E, sùbito dopo, rafforzato dalla sostituzione di Cortese (per il tatticamente più accorto Russo). Eppure, il Taranto non incide come vorrebbe, malgrado disponga ormai stabilmente del campo e del comando delle operazioni, oltre che di un atteggiamento strategico molto propositivo (ora è 3-4-3). Ci pensa, comunque, il guardasigilli Turi a riaprire compiutamente la gara, con un intervento errato sulla conclusione di Pambianchi: due a uno e fase finale assolutamente in bilico. L’epilogo, già raccontato, premia il collettivo che prova a dotarsi di una dimensione, castigando quello che deve ancora imparare a conoscersi e a gestirsi, al di là dei problemi di personale (le assenze riducono il ventaglio delle soluzioni). E che, ora, si ritrova a dover perseguire un obiettivo tutto nuovo, mai considerato sin qui: la salvezza. Gran brutta botta, per il Monopoli.

domenica 19 ottobre 2014

Non è mai troppo tardi

Il Martina cambia modulo e i punti arrivano. Non senza alcune controindicazioni già abbondantemente analizzate, ma arrivano. Coach Ciullo, aspramente minacciato dai risultati e dai pericoli dell’esonero, rivisita quel tanto che serve per aiutarsi: fuori una delle quattro pedine avanzate, dentro un centrocampista in più. Operazione semplice, scontata. E attesa: da qualche settimana, ormai. Non è mai troppo tardi, però. Dal match consumato in casa della Lupa Roma, la settimana scorsa, sboccia un punto niente male: anche perché l’avversario è di caratura. La squadra subisce qualcosa, ma non troppo. E, soprattutto, appare più coperta, più affidabile. L’avversario non brilla, ma nel mezzo si gestiscono meglio alcune situazioni e dietro si soffre meno. La sfida con l’Aversa, sette giorni dopo, si trascina il sapore del confronto diretto e l’etichetta della gara della controprova. La rivisitazione tattica (ora lo scacchiere è sintonizzato sul 4-3-3) non impedisce al Martina di accelerare sugli out e di reperire profondità. La formazione allestita dal tecnico di Taurisano, per mezz’ora, gioca e affonda come sa, provando a imporre i propri ritmi. Tutto lavoro che conduce direttamente al vantaggio siglato da Montalto, peraltro dalla distanza.. E che serve ad Arcidiacono immediatamente dopo (il direttore di gara, tuttavia, invalida il raddoppio). Il campo, per intenderci, parla apertamente a favore di Amodio e soci, più vivaci ed essenziali. L’Aversa, appena può, fraseggia: la penetrazione, tuttavia, è saltuaria. Ma, al di là di una classifica difficile anche per i casertani, si intravede qualcosa di buono, dal punto di vista della manovra. Come dire: scherzare è vietato. Ma anche abbassare la tensione. Fisiologicamente, del resto, il Martina deve pure rifiatare un attimo e, a parità di quantità, il confronto resta decisamente molto aperto. Anzi: i campani prendono lentamente campo, arrivando all’intervallo con un po’ di quotazioni in più. Riacquisire certi ritmi, cioè, non è facile. E la squadra di Ciullo ci ha abituati a decompressioni evidenti, a match ormai avanzato. La ripresa è più affaticata e, infatti, l’Aversa ne approfitta, pareggiando dopo il primo quarto d’ora. L’ennesimo schiaffo, allora, spinge il Martina a rimediare: questa volta, peraltro, c’è anche tempo sufficiente per recuperare il vantaggio, che Montalto regala dagli undici metri. Lo stesso Montalto triplica poco più avanti, chiudendo il confronto. Anche perché i normanni, alla distanza, si rivelano complessivamente inconsistenti. Soddisfazione per il primo successo stagionale a parte, il fastidio della permeabilità difensiva resta (niente e nessuno potrà cancellare i limiti strutturali e individuali). Ma sembra cambiato qualcosa, all’interno del l’ingranaggio: e il Martina, di sicuro, adesso è meno esposto. Preferiamo, però, non sbilanciarci oltre e attendere ancora: due indizi non costituiscono ancora una prova. Ma la sensazione che il Martina abbia perso almeno un mese prima di capire uno dei suoi mali, quella sì, resiste.  

venerdì 17 ottobre 2014

Brindisi, svolta rapida

Problemi anche per Castellucci. Il Brindisi non si accosta al successo neppure dopo il cambio di panca: pari al Fanuzzi prima, contro il Taranto, e sconfitta poi, a Potenza. E sì che la squadra, adesso, appare più ordinata o, semplicemente, più operaia in mezzo al campo. Comunque, più equilibrata. In Lucania, peraltro, le circostanze si accaniscono: fallire un penalty al novantacinquesimo è frustrante. Anche se il provvedimento arbitrale appare estremamente generoso. Il percorso che separa, cioè, la certezza dall’incertezza è ancora tortuoso: e qualcuno, sull’Adriatico, comincia compiutamente a pensare che neppure questo sia l’anno giusto per riappropriarsi del professionismo. E che, in fondo, il collettivo costruito senza parsimonia in estate non è poi così affidabile come in tanti (troppi, quasi tutti) avevano pronosticato. La classifica, brutalmente, consegna una prospettiva grigia: il Brindisi è appena un passo oltre le quart’ultime, già sufficientemente lontano dal leader Gallipoli che perde a San Severo, ma che recupererà quei tre punti a tavolino, molto presto. E se, poi, si allenta la verve di gente come Molinari (cinque centri nella prima parte del torneo) o Croce, a cui sono legate gran parte delle speranze popolari, gli umori s’imbruniscono ancora. E ancora: patron Flora è inciampato in un problema di salute personale. E con la salute non si scherza. Se ne parlava da un po’, in città: e, in queste ore, è arrivata la conferma ufficiale. Il presidente deve farsi da parte: la comunicazione al sindaco Consales è da considerarsi un atto dovuto, di prassi. Ci sarebbe, però, una cordata pronta a rilevare le quote e, si dice, a rispettare il progetto di partenza. E si conosce persino il nome di quello che potrebbe diventare il nuovo numero uno del sodalizio di via Brin: Mino Distante, già principale finanziatore del Francavilla, fino a poche stagioni addietro. Di sicuro, intanto, l’avventura di Flora si conclude molto prima del previsto. O forse no, come puntualizzano i più maligni. Molto prima del responso finale, molto prima anche di dicembre, che è quel mese in cui si rischia qualche conto e si analizzano un po’ di cose, in cui si investono risorse nuove oppure si depotenzia la programmazione, liberando qualche big. Il passaggio di consegne societario, magari, sarà indolore: ed è l’augurio migliore per la città che tifa. Escamotage o no, il pallone brindisino sarebbe mentalmente preparato al concetto di ripartenza, come se nulla fosse accaduto. Con la consapevolezza di essersi fatto trovare pronto, al momento giusto. Non accadeva da anni: e ne prendiamo felicemente atto.

lunedì 13 ottobre 2014

La trazione anteriore dell'Andria

Il vantaggio immediato spinge l’Andria. E il derby con il Monopoli si configura come una discesa abbastanza comoda. Matera finalizza sotto porta il primo affondo: bastano tre minuti per modellare la partita più agevole. Il collettivo di Favarin è rapido e incisivo: pedala e possiede profondità. Con il pallone tra i piedi, la Fidelis scrive una manovra spesso interessante. Dalla quale, poi, qualcosa di insidioso sgorga sempre. Malgrado, complessivamente, difetti la continuità di espressione. L’avversario, per un po’, deve rincorrerlo: almeno sino al momento in cui decide di ragionare meglio e di più e, dunque, di rintuzzare (Gori, ad esempio, è più presente in entrambe le fasi, se valutiamo le ultime prestazioni personali). La crescita della gente di Passiatore, peraltro, è certificata pochi secondi prima dell’intervallo, quando il calcio franco firmato da Manzo supera Masserano. Più avanti, il match si fa più scorbutico: il Monopoli si cala assai bene nel ruolo e l’Andria ne soffre. Di qua cominciano a mancare lucidità e spunti. Di là, si alimentano ardore e sacrificio. L’assetto tattico della Fidelis, così, si sfilaccia e gli ospiti ne approfittano, raddoppiando. Il risultato, tuttavia, non tiene: Moscelli accelera e Olcese colpisce: esattamente quando Favarin inserisce un altro attaccante (Lattanzio) per il mediano Piccinni. Paradossalmente, è con il 4-2-4 che l’Andria recupera determinati equilibri. Ritagliandosi gli sforzi per il forcing finale, che confluisce nella marcatura del successo, realizzata proprio con l’ultima palla giocabile. Il Monopoli è colpito nell’intimo e, da quelle parti, la contestazione verso certi provvedimenti arbitrali è forte. La Fidelis, però, si arrampica su un possesso palla più evidente e su un atteggiamento largamente propositivo. Anche perché questa sembra una squadra obbligata, per caratteristiche, a fare la partita e non a subirla. Favarin, è evidente, sarà chiamato a lavorare ancora sulla fase di non possesso: anche se l’idea di D’Agostino davanti alla difesa, sperimentata in corso d’opera, non appare affatto male.

lunedì 6 ottobre 2014

Il Grottaglie bussa alla porta del campionato


Assemblato a campionato già partito e varato senza troppi allenamenti nelle gambe. Eppure, il Grottaglie è cresciuto e cresce ancora. Sorprendendo, se analizziamo dettagli e contingenze. Il pari di Brindisi, al di là delle distrazioni degli adriatici, andava considerato un indizio ancora flebile, ma anche un messaggio di speranza. E l’altro pari, quello del D’Amuri contro la Scafatese, una settimana dopo, un segnale di continuità. Ma l’affermazione di Monopoli, al netto dell’inferiorità numerica dell’avversario (in dieci per tre quarti di match) e dell’autolesionismo della formazione di Passiatore, è la certificazione di una lievitazione dell’impianto affidato alle cure di Enzo Pizzonia e delle potenzialità di un gruppo che si sta definendo e completando, ma soprattutto fortificando. L’Ars et Labor, cioè, c’è. E può concorrere per centrare l’obiettivo della permanenza. Che lo stesso trainer si sente di poter promettere se l’elenco a sua disposizione verrà presto innervato da un’altra punta (è, comunque, appena rientrato Manzella, già utilizzato nel corso della passata stagione) e da un’altra pedina di difesa. L’ultima uscita è un’alchimia di ordine tattico, di carattere e di pragmatismo: nessun effetto speciale, ma dentro ci sono sacrificio e furbizia. Cementati, è chiaro, dagli episodi e dalle modalità di una gara un po’ particolare. In cui il Grottaglie prova a bloccare il Monopoli, riuscendoci per quasi mezz’ora: con quel rombo di centrocampo che non si risparmia e che, quando serve, si allinea e si allarga. Poi, però, dopo essersi cercati, i padroni di casa si trovano e passano in vantaggio, sembrando di poter disporre del match. E, invece, così non è: Salvestroni è inutilmente e platealmente falloso a metà campo. L’espulsione ci sta. E, alla distanza, peserà. Sì, alla distanza. Non immediatamente. Perché, anzi, in dieci il Monopoli è persino più brillante. Malgrado Passiatore sia costretto a schierare Laboragine: appena ritesserato e, per questo, senza troppi minuti nelle gambe. Tanto che, a metà ripresa, Manzo e soci potrebbero chiudere il conto. Anzi, Esposito raddoppia pure, ma il direttore di gara invalida per un offside da verificare. Nel suo momento migliore, tuttavia, la formazione di casa inciampa nell’eccessiva sicurezza o, magari, nella supponenza. Di sicuro, nell’errore fatale. E’ la svolta: il Grottaglie ringrazia e pareggia. Intuendo, a questo punto, di potersi prendere tutto. Quello che deve succedere accade in un brevissimo arco di tempo: e i due gol di Bongermino, sin lì un po’ isolato, scrivono la storia di una partita che la gente di Pizzonia intasca con cinismo e risolutezza. Quello che serviva per cominciare a ribellarsi ad una sentenza già scritta. C’è ancora un campionato da giocare e giocarsi: questa sì che è una notizia interessante.

domenica 5 ottobre 2014

Martina, ora si fa dura


I tempi di attesa e di tolleranza popolare si riducono. Per il Martina e per il tecnico Ciullo: che, malgrado le disavventure recenti, anche contro la Vigor Lamezia, non rinuncia al 4-2-4. Ma Carretta è veloce a siglare il punto del vantaggio. Ancora una volta, la squadra parte bene, accumulando credito. Lasciando, tuttavia, giocare un avversario senza particolari pretese, in campionato, ma che sa uscire alla distanza, in virtù di un calcio semplice e immediato, ma anche ragionato E che si ritaglia lentamente i propri spazi. L’anticipo del sabato è un match aperto, a dispetto di una supremazia territoriale martinese anche abbastanza marcata: per una buona mezz'ora e più. L’assetto difensivo dei padroni di casa, piuttosto, è lo stesso di sempre: permeabile. E, evidentemente, il segno è malvagio, conoscendo i precedenti. E conoscendo i protagonisti. Kalombo, ad esempio: un ragazzo più che discreto quando attacca. E assolutamente improponibile, in fase di non possesso, sui terreni della C. Il fallo di mani del coloured è persino comico. E il pareggio vigorino, dal dischetto, è la degna conseguenza. La storia, in sostanza, si ripete noiosa: davanti si crea, dietro si distrugge. Nella ripresa, anzi, il Lamezia raddoppia: la linea mediana di Ciullo non sa arginare, come in passato, la pressione avversa: i laterali alti non accorciano, i centrali possiedono un passo lento e arrancano. E là dietro la sofferenza si trasforma puntuale in agonia. Il Martina, peraltro, a svantaggio avvenuto si spegne, si disunisce. Difettano persino gli spunti individuali dei più vivaci. E la gara si esaurisce prima del previsto, tra amarezza e imprecazioni. Adesso, è ovvio, il tecnico – che già viveva ore fastidiose – rischia seriamente. Non ci meraviglieremmo se, in settimana, dovessero arrivare notizie cattive che lo riguardano. Ciullo, del resto, in questo periodo non si è neppure aiutato troppo, intestardendosi su un modulo che non proteggeva il gruppo e che non ha protetto neppure lui stesso. Al di là dello spessore (basso, nelle retrovie) di certe pedine a propria disposizione. Ne siamo consapevoli, comunque: rivedere l’assetto e offrire alla squadra più copertura non significa automaticamente risolvere ogni disagio. Però, riteniamo pure che all’allenatore spetti anche il compito di porre il collettivo sempre nella migliore delle condizioni possibili. Cosa che, evidentemente, in quasi due mesi di campionato, non è avvenuta.

mercoledì 1 ottobre 2014

Brindisi, è il momento di Castellucci

La caduta di Andria vale la panchina di Marcello Chiricallo. Non sarebbe potuto accadere il contrario, del resto. Nel senso che il provvedimento era, sin dal novantesimo, largamente atteso. Il tecnico, già minacciato dai risultati e da patron Flora, se ne va. Impossibile restare al timone del Brindisi, dove arriva Ezio Castellucci, tecnico esperto, anche se non proprio abituato alle dinamiche di questo girone di quarta serie. Certo, davanti ai microfoni, Chiricallo dice il giusto: complessivamente, in casa della Fidelis, la squadra non si spiega male: ma nel mezzo è un po’ molle e dietro si ritrova in difficoltà. Quattro gol (a tre) sono troppi. Ed è la classifica (magrissima, considerate le previsioni) a disegnare la situazione. Semmai, sorprende un dato: che, cioè, proprio un collettivo affidato sin qui ad un allenatore molto attento alla fase di non possesso si ritrovi infiacchita di fronte a problematiche di natura difensiva. Ma tant’è: il pallone non smette mai di sorprendere. Sorprende, invece, la decisione di rifugiarsi negli schemi di un trainer, diciamo così, più coraggioso. Nonostante, vale ripeterlo, i disagi non alberghino nella trequarti avversaria o in zona di finalizzazione. Ma si sa: in questi casi, la prima idea è quella di arare il terreno e ripartire. Con equilibrio. Quell’equilibrio che, sulle zolle nevralgiche del campo, la campagna di rafforzamento estiva non ha saputo evidentemente garantire.

lunedì 29 settembre 2014

Gallipoli, la vetta è legittima

E’ squadra operaia, il Gallipoli. Un collettivo in cui ognuno, nessuno escluso, coopera con l’altro. E in cui tutti si pongono al servizio del gruppo. Una squadra che corre, si applica. Che sa sfruttare bene le corsie laterali. Abbastanza rapida, quando occorre assaltare l’avversario. Destinata a durare nel tempo, oppure no: non possiamo prevederlo. Ma, in questo momento, legittimamente al potere del girone appulocampano di serie D. A punteggio pieno. Il quarto successo stagionale arriva sull’erba di casa: la formazione di Volturo si libera pure del Monopoli, facendosi bastare il gol siglato nel cuore della prima frazione di gioco da Tedesco, attaccante ancora integro che accorcia, pressa, fa salire la squadra e assicura movimento e movimenti. E lo score finale, se vogliamo, è persino bugiardo, perché troppo stretto. Demerito, evidentemente, anche di un avversario che, nel match, non entra mai. E che mai offre l’impressione di poter raddrizzare la situazione. Che approccia la gara con morbidezza eccessiva, perdendo il confronto nel mezzo (il dinamismo del solo El Kamch non è sufficiente: in un 4-2-4 serve più sacrificio, da parte di tutti) e sulle fasce, dove dettano legge Presicce e Negro. Mancano, al Monopoli, soprattutto i suoi big, che si dimenticano di prendersi le responsabilità del caso. Ma la gente di Passiatore delude anche sotto pressione, dimostrando di soffrire le folate dell’avversario, che affonda puntualmente. Forse, pure l’assenza fisica in panchina del tecnico (squalificato) incide: manca la sua tensione vigile, la sua voce martellante. Il Gallipoli, intanto, è lì, davanti a tutti. E con un vantaggio di tre punti sulla seconda, ovvero la Fidelis Andria. Numeri di spessore relativo, ma sempre indicativi. Ovvio, adesso viaggiare a fari spenti si fa molto più difficile. Però, questa sembra una realtà che alberga lontano dalla supponenza. Sin qui, è un particolare che è servito non poco. Conservando questo spirito, oltre tutto, il Gallipoli potrà giocarsela con tutti per un po’ di tempo ancora. E mettersi in prima fila per vedere come andrà a finire.

domenica 28 settembre 2014

Martina, disavventure in serie

Concesso: il calendario, con il Martina, è stato decisamente scontroso, sin qui. Per aver piazzato sulla strada della squadra di Ciullo la Salernitana, una delle due attuali capolista del girone meridionale di terza serie, il Foggia, la Juve Stabia e il Catanzaro, formazioni di livello medio alto (almeno se consideriamo gli organici: per il resto, possiamo parlarne) e, proprio ieri, nell’anticipo pomeridiano, il Benevento. Che poi è l’altra battistrada del campionato. Davvero niente male. Unica eccezione, diciamo così, l’Ischia: effettivamente modesto, per quanto visto al Tursi. Da quest’angolazione, allora, i soli due punti collezionati in sei gare rattristerebbero ugualmente, senza però destare troppo scandalo. Cioè: certe difficoltà entrerebbero di diritto nel preventivo di un gruppo allestito in ritardo e velocemente, quasi in prossimità dell’avvio di torneo. Però, l’incapacità cronica di arrestare l’avversario appena la pressione si intensifica e l’abitudine ad entrare in confusione anche quando il match sembra ben saldo tra i piedi di Amodio e soci continua a castigare la manovra – spesso intrigante – e le buone intenzioni di un collettivo frizzante per larghi tratti e dopo, all’improvviso, timido e involuto. Il Martina tiene sino ad un certo punto: poi, la condizione fisica scade. E l’assetto si sfalda. La gente di Ciullo, evidentemente, comincia a patire la controparte e, forse, anche se stessa. Si perde, si ritrae, smarrisce molte certezze. E concede: troppo. Senza quei maledetti quarti d’ora finali, sarebbe in alto. E, invece, la classifica è già amara. La prestazione infrasettimanale contro la Juve Stabia, ad esempio, è lo specchio delle contingenze: il vantaggio di due gol e la superiorità numerica di un uomo non bastano. Così come non basta l’ora di calcio non brillantissima, ma concreta, di Benevento: anche nel Sannio, prima o poi, il gol esce. Il Martina, puntualmente, subisce nella fase più delicata della partita: quando diventa particolarmente disagevole rimediare. Caricando il suo tecnico di ulteriori tensioni e attenzioni. La tifoseria, nel frattempo, sembra aver già scovato il colpevole: malgrado il coach di Taurisano possa vantare attenuanti non generiche. Non ultima, l’inaffidabilità di alcune pedine: insistiamo su questo. Tuttavia, Ciullo potrebbe anche cominciare a ripensare il modulo: il 4-2-4 adottato sin dal primo match è coraggioso e interessante, ma non assicura la copertura necessaria: il dato è incontrovertibile. Magari, un centrocampista in più, a presidio di una difesa spesso incerta, potrebbe giovare. Al costo dell'esclusione di una delle quattro pedine avanzate, ovviamente. La salvezza, peraltro, passa attraverso piccoli e grandi accorgimenti come questo. E la salvezza deve rimanere il primo e l’unico obiettivo. Com’è giusto che sia.

sabato 27 settembre 2014

La settimana difficile del Brindisi

La settimana più difficile del Brindisi arriva presto, all’alba della stagione. Nasce dalle cattive emozioni di un pareggio indigesto (tre a tre a casa propria, di fronte all’ancora poco attrezzato - e allenato - Grottaglie, innervato di forze fresche solo alla vigilia del match) e cresce parallelamente alle notizie che sgorgano attorno alla squadra (il tecnico Chiricallo è minacciato di esonero, Chiricallo si dimette, i suoi giocatori lo salvano). La situazione, comunque, non si evolve. Perché resta congelata, a disposizione degli eventi che seguiranno: la trasferta di domani, quella di Andria, per intenderci. E, soprattutto, il risultato che garantirà. Del resto, il Brindisi edificato per vincere, senza se e senza ma, non ammette amnesie, intralci, delusioni. E il presidente Flora non vuole attendere. Vincere si deve, necessariamente. E  la partenza è già fortemente penalizzante. Per la classifica (quattro punti in tre uscite) e per la qualità del calcio dettato (squadra pesante, manovra mai totalmente sbocciata, sindrome di appagamento al parziale che non si conferma al novantesimo). Ma il Brindisi, è vero, è un collettivo composito e anche fragile, sotto alcuni aspetti: quello psicologico, prima degli altri. Obbligato ad imporsi e, innanzi tutto, da modellare sul massimo comun divisore della qualità dei suoi singoli. Quella qualità dei singoli che, in casi come questi, finisce per scontrarsi inevitabilmente con le differenti personalità di un gruppo importante. Mentre l’integrità dello stesso gruppo, assemblato in diversi momenti del mercato, continua ad essere minacciata dall’ingaggio di nuove pedine. Ma, forse, è il momento che il Brindisi, al di là dell’affidabilità di certe scelte, cominci seriamente a lavorare sulle forze di cui dispone, piuttosto che sondare nuove strade e confondere ulteriormente il già labile progetto tattico.

martedì 23 settembre 2014

La sorpresa Gallipoli

Il girone più difficile della D non riconosce il Brindisi, costruito per stravincere. Bacchetta un po’ l’Andria e, semmai, promuove il Bisceglie e il Taranto, pur senza affidare loro la leadership. La capolista, per il momento, è un’altra. La capolista è il Gallipoli. Il neopromosso Gallipoli. Allestito con uno sguardo al portafoglio da una struttura societaria infiacchita da certe dinamiche estive. Ma il calcio è così: chi è atteso, spesso delude. E chi viaggia a fari spenti, talvolta, emerge. Nessuno, prima dello start, avrebbe scommesso sulla formazione jonica, ammettiamolo tranquillamente. Noi tra gli altri. Nessuno avrebbe pronosticato tre successi in tre match: due lontani da casa e uno, conseguito al Bianco, contro la formazione più corazzata dell’intero lotto, ovvero il già citato Brindisi. Però, il dato è sostanzialmente corretto: perché la squadra si è ambientata velocemente al campionato e perché le pedine a disposizione di Volturo, trainer arrivato a stagione già avviata, sembrano propedeutiche al progetto. Pur non vantando, Tedesco a parte, un pedigrée lussuoso. Senza dimenticare un particolare: chi comincia bene, guadagna entusiasmo e si rassoda più facilmente. Il Gallipoli precede tutti e molti già gli assegnano il ruolo che, dodici mesi addietro, fu del Marcianise. Potrebbe andare così, oppure no. Ma il pallone ci ha abituati a determinate situazioni e non ci meraviglieremmo di nulla, se dovesse essere così. Intanto, però, le basi per riscuotere il premio stabilito, ovvero la permanenza, ci sono. L’atteggiamento operaio, del resto, in questa quarta serie pagherà puntualmente: e questo Gallipoli coniuga spirito di sacrificio e concretezza. Una lezione che qualche concorrente più quotato – ma anche più distratto – dovrà digerire. Anche se, tra un mese o tra cinque o sette, la formazione salentina non dovesse più veleggiare in acque alte. Il principio vale a prescindere. Al di là di una preparazione atletica più o meno pesante. E della possibilità economica di ciascun club: che, a metà del cammino, sovvertirà molti equilibri. Come nel campionato passato. Come sempre.

lunedì 22 settembre 2014

Martina, il sospetto diventa certezza

Scricchiolava profondamente, l’assetto difensivo del Martina. Squagliatosi sotto i colpi della Salernitana. In pochi minuti. Ed a Catanzaro, una settimana dopo, non era andata per niente meglio: malgrado la prima parte di gara, da considerarsi largamente positiva. Anche in Calabria, la formazione di Ciullo si era garantita per metà match personalità e crediti: puntualmente ceduti appena i padroni di casa avevano accelerato il ritmo e, soprattutto, verticalizzato. Mettendo a nudo l’incapacità della mediana, più abile ad appoggiare e a proporsi, di fare filtro e di coprire la terza linea. E, ovviamente, quelle dell’intero pacchetto arretrato: svagato, lento e – per questo - ripetutamente costretto al fallo, ultima chance di chi è puntato e saltato con illogica abitudine. E, allora, con zero punti in tre match, non c’è più spazio per amnesie e distonie: Al Tursi scende l’Ischia, collettivo modesto, anche abbastanza remissivo. Sicuramente più digeribile dell’orario di gioco: mezzogiorno e mezzo è roba da autolesionisti del pallone. Ciullo, anche per esigenze contingenti (squalifiche) rivede lo scacchiere: fuori Caso e Samnick (il coloured, probabilmente, è ancora acerbo per ricoprire il delicato ruolo di centrale di difesa) e dentro Memolla, schierato a sinistra (Patti scala al centro). Non c’è neppure Montalto, davanti: e la sua predisposizione a lavorare per la squadra si avverte. La manovra del Martina, però, è sufficientemente frizzante, almeno quando la palla è tra i piedi. La verve e la rapidità di esecuzione degli esterni è immutata, anche se la progressione è discontinua, complice l’atmosfera afosa. Ma, soprattutto, l’Ischia si arrocca in 5-4-1 che, alla distanza, rischia di devitalizzare la proposta di Amodio e soci, di ingabbiare Magrassi, terminale offensivo di giornata, e di appiattire la gara. Gli isolani non stuzzicano il Martina, preferendo nicchiare. Il gol può piovere solo su calcio piazzato. E così è: il sigillo è di Patti. Dopo l’intervallo, il trainer campano cambia il volto del proprio scacchiere, azzardando il 4-2-4. Ma Caruso, subentrato a Pellecchia (meno appariscente del solito, oggettivamente più disposto al sacrificio) sfrutta un’esitazione grossolana di Alan e raddoppia. Confuso, l’Ischia fatica a risvegliarsi e la scarsa qualità non lo soccorre: così  il Martina può governare tranquillo. Per una volta, dietro, si vive in tranquillità. Sembra fatta, cioè. Almeno sino a quando De Giorgi, nuovamente in difficoltà, non commette fallo da penalty. Dagli undici metri, Ciotola riapre la gara. Tornano, all’improvviso, tutti gli incubi. La gente di Ciullo comincia a cedere, l’avversario si riorganizza in tempo. E, ancora Ciotola, a recupero inoltrato, crocifigge il Martina, ancora incapace di coprirsi. Due a due, contestazione finale del pubblico e morale bassissimo: arriva solo un punto, che aggrava le sensazioni. Il problema fondamentale rimane. Anzi, si ingigantisce, considerato lo spessore dell’avversario. E’ questione di singoli, evidentemente. Ma, anche di reparto. La fase difensiva è inadeguata: era un semplice sospetto, adesso è una certezza. E, senza correttivi, si affonda: questo è palese.

lunedì 15 settembre 2014

Bisceglie, troppo facile. Grottaglie, è dura

Il Grottaglie prova a ribellarsi all’ineluttabilità degli eventi, alla noia di un campionato già scritto, ancora prima di nascere. E, per il campionato approcciato male (caduta pesante a Francavilla sul Sinni: uno a cinque), si irrobustisce con qualche pedina più spendibile: Faccini, Pisano e Prete, per fare nomi. Trovando, al contempo, l’assenso di Vincenzo Pizzonia, tecnico sin qui non troppo entusiasta della situazione e che, proprio nel corso di questa settimana, firma la pratica di tesseramento per poter occupare la panchina. Ma sembra comunque dura, troppo dura. Il calendario, oltre tutto, non soccorre: al D’Amuri, dall’altra parte del campo, spunta il Bisceglie dei  big e delle ambizioni. Immediatamente frustrate, forse, dal match di esordio (pari interno col Potenza, vantaggio sprecato), ma sempre vive e legittime. Il calcio, però, è anche una somma di indicazioni, molto spesso. E il vantaggio veloce degli stellati (Zotti su calcio franco) non stupisce. Indirizzando da sùbito una partita già segnata. A parte Gallaccio, Anaclerio e Gambuzza, De Luca utilizza il meglio di cui dispone: in mezzo al campo, con Lanzillotta, c’è Guadalupi: come dire, l’atteggiamento è altamente propositivo. Il 4-2-3-1 di partenza, del resto, si nutre della facilitazione di molti compiti e, appena scocca il decimo minuto, pure del sigillo della tranquillità. Due a zero di Patierno e partita praticamente congelata. L’Ars et Labor non possiede sostanza e neppure troppa grinta. Magari, neanche eccessiva convinzione. Al 13’ i gol del Bisceglie sono già tre: non c’è molto altro da aggiungere. Da adesso in poi, si gioca soltanto per dovere. Gli ospiti giostrano in scioltezza, il Grottaglie assiste impotente. Patierno sciupa un paio di palle invitantissime, ma non c’è danno. I ritmi, peraltro, assecondano la squadra che sta stravincendo, costringendo a rinviare qualsiasi altra analisi ad un appuntamento più credibile. Finisce uno a quattro, anche perché gli ospiti si moderano: e per la gente di Pizzonia è uno schiaffo che non ne agevola il processo di crescita. Un processo che resta strettamente legato, si intende, ad un eventuale piano di rafforzamento. E pure robusto. Non sappiamo, tuttavia, da quali risorse supportato. In caso contrario, sarà un’agonia. Lenta e lacerante.

lunedì 8 settembre 2014

Il Martina illude, la difesa non regge

L’esuberanza, il sacrificio, il podismo. Quella manovra più diretta, coraggiosa, a tratti irruenta e irriverente. Il Martina gioca di più della Salernitana, vagamente timida, per un tempo (il primo) e per la prima metà della ripresa. E, ad un certo punto, si ritrova davanti per gli effetti di una magia di Pellecchia, sistemato nel 4-2-4 come seconda punta, con poco più di un quarto di match da gestire e salvaguardare. Ma la qualità dei campani stipata in panchina si aggiunge a quella già sistemata sul campo: la reazione della formazione di Menichini è possente, autoritaria. Lo schiaffo ricevuto, probabilmente, si rivela particolarmente salutare. E l’assetto difensivo pensato da Ciullo (scelte obbligate, sia chiaro), sin lì sufficiente per l’incapacità dell’avversario di verticalizzare o affondare, si squaglia sotto il peso di una pressione chirurgica. In pochi minuti, la Salernitana si prende il campo, acquista in densità e denuda i difetti del Martina, costringendolo all’affanno, stringendolo e assediandolo. Negro, entrato per garantire anche alla sua squadra un 4-2-4 affidabile e incisivo, cambia il corso del gioco e apre un nuovo capitolo. De Giorgi, a destra, va in difficoltà, commette fallo e lascia la squadra in dieci. Immediatamente dopo, a sinistra, Tomi è costretto a offrire ai granata il penalty della svolta, trasformato da Calil. In mezzo al reparto di presidio, il giovane Samnick ammette di non poter coordinare strategie e dinamiche. La Salernitana sa, invece, che adesso può vincere e accelera ancora: fallisce almeno tre occasioni da gol e, un minuto prima del novantesimo, intasca i tre punti. Riscattando quella partenza un po’ anonima: intrisa di giropalla, ma cieca. E confinando il Martina in fondo alla classifica, da solo. E anche un po’ irritato. Ma consapevole dell’esigenza di dover velocemente integrare alcuni tasselli contrattualizzati recentemente: primo tra tutti, il centrale Fabiano, che il tecnico vorrebbe utilizzare stabilmente dietro. La terza serie accoglie formazioni di caratura notevole, soprattutto in fase di possesso: la Salernitana è un esempio, non un’eccezione. Occorrerà tutelarsi.

sabato 6 settembre 2014

Grottaglie, buio denso

Salvare il campionato, ancor prima che cominci. In attesa di affidare titolo sportivo e squadra (si fa per dire: per il momento, continua a lavorare un gruppo di ragazzi senza mestiere e senza una guida tecnica certa e definitiva) a chi, meglio dell’attuale staff dirigenziale, potrebbe reggere economicamente blasone e speranze. A chi, per la verità, si è anche affacciato, spaventandosi non poco del quadro finanziario del club. E rinviando, al momento, ogni decisione in merito: un’operazione tattica che, oggi, sembra l’anticamera della fuga. Il Grottaglie sta morendo, questa è la verità. Ma, stoicamente, il presidente D’Amicis e il suo entourage provano ad allargare i tempi della resa: spedendo, appunto, quella manciata di ragazzi verso l’esordio di un campionato che potrebbe, peraltro, interrompersi presto. E assai bruscamente. A Francavilla, il primo match è, cioè, assicurato. Di fronte ad una delle formazioni più solide dell’intero girone, il risultato di domani sembra già abbondantemente sbarrato: non c’è storia, non ci sarà storia. Il divario è netto, incolmabile. Bypassato il punto di penalizzazione per un’eventuale rinuncia, però, il problema resta per intero: non è detto che il Grottaglie possa ripetere l’impresa di presentarsi. Ricalcando, a meno di un anno di distanza, il tramonto del Nardò: che, in realtà, galleggiò un paio di mesi, prima di inabissarsi. Con quei ragazzi, specifica il club, viaggerà anche il tecnico Pizzonia, che non ha ancora firmato il tesseramento e che, quasi certamente, non andrà in panchina: come è già accaduto in Coppa, contro il Potenza (sei a zero a domicilio). E che pure si era eclissato, non più tardi di un paio di settimane fa. La stagione dell’Ars et Labor nasce male: neppure prima del campionato appena trascorso e di quelli precedenti la situazione era così oscura, deteriorata. Ma la speranza resiste, ancora per un po’. Giusto il tempo che servirà a Tonio Bongiovanni ed Elisabetta Zelatore, già massimi responsabili del calcio (e del volley) tarantino per consegnare l’ultima risposta. Però, certe cifre antiche mai sanate sono un macigno troppo ingombrante. I campionati passano, i giocatori e i tecnici si accontentano (o zittiscono), le salvezze si collezionano, una dietro l’altra: ma, alla fine, i conti non tornano e riemergono. E’ la puntualità della matematica, sono le certezze del pallone.

venerdì 5 settembre 2014

Taranto, speranze deluse: sarà ancora D

Una buona notizia: il campionato di D sta per cominciare. Dopodomani, per la precisione. Così, almeno, cominceremo a fare a meno di previsioni di calcolo, conteggi variabili, verbali di agibilità, domande di ripescaggio, rinunce e regolamenti applicati per convenienza. Questa storiaccia molesta delle promozioni a tavolino ci ha abbastanza infastidito, sinceramente. Concetto valido per tutte le categorie: la B (il Novara non va bene, la Juve Stabia neppure, il Pisa soccombe al fotofinish e, allora, affiora il Vicenza, che inciampa nel realismo della gente comune), la C (che, solo da oggi, a torneo già avviato, possiede la sua sessantesima concorrente) e la D (il Rieti presenta il ricorso e sorpassa nell’ultima ora utile il Sondrio, che però ha già preparato valige e squadra per la quarta serie). Ovvio, non ci costruiamo labile e patetiche illusioni: della questione, purtroppo, si continuerà a discorrere ancora a lungo: nelle aule di un tribunale, sportivo o civile, e sulle colonne dei giornali, dei siti web, ovunque. Però, se non altro, si parte anche in D: con tutti gli effettivi. Anche con il Taranto. Che, nell’enorme intrigo, ci è entrato da protagonista: seppur in ritardo. Rinunciando, prima, a regolarizzare la domanda, per una transizione societaria dilatatasi nei tempi e, dunque, per una serie di operazioni tecnicamente difficili da mettere assieme in pochissime ore. E, infine, ritrovandosi a inseguire il ripescaggio per la riapertura della corsa (con il Vicenza in B, si è spalancato un nuovo spazio nel girone settentrionale di terza serie), al fianco di Akragas – la meglio posizionata, secondo la graduatoria generale di merito stilata in estate, ma priva di un impianto a norma – e il premiato Arezzo. Quell’Arezzo che riesce a superare indenne lo scoglio di una pratica creduta, almeno sui due Mari, carente sotto un paio di angolazioni (lo stadio e il settore giovanile). E, probabilmente, anche ben sponsorizzato dal pericolo di dover altrimenti inserire un club del sud profondo nel girone più settentrionale d’Italia: un’eventualità che avrebbe causato comprensibili fastidi, più che scompensi. Ma, in definitiva, anche la società piazzata più avanti, rispetto al Taranto, nella classifica delle ripescabili: se ci pensate bene, per quella gara di playoff vinta allo Iacovone a maggio. Immaginate, allora, i rimpianti che si stanno coagulando in riva a Mar Piccolo. E quelli dell’Akragas (e della Correggese): che, invece, alla lotteria di fine campionato sono arrivati sino in fondo. Inutilmente. Tra un rimpianto e l’altro, allora, questa serie D può salpare. Con il Taranto che dovrà attendere tempi migliori, dopo una stagione di ulteriore rodaggio. Oppure attrezzarsi, per potersi misurare con le più ambiziose del girone. Perché, così com’è oggi, non offre troppe garanzie.

giovedì 4 settembre 2014

Bisceglie, una squadra per la categoria

Il grande impegno dopo il disimpegno. Canonico ci ha abituati così. Prospettando un’altra fuga, rivedendo la decisione e, infine, rilanciando. Nel segno della continuità, sul solco delle ambizioni che non tramontano mai. Vuol dire che a Bisceglie, ancora una volta, l’idea fondamentale è quella di battagliare per un obiettivo importante come la serie C che, sul prato del Ventura, ha transitato troppi anni fa, ormai. Un paio di mesi sono scivolati faticosamente e tutto sembrava compromesso: persino il titolo sportivo. Invece, sistemati alcuni particolari con l’amministrazione comunale, a metà estate si è riaccesa la fiamma: il presidente, incassata l’impossibilità di ambire al Bari, si è riaffezionato al progetto originario. Nuovo investimento, nuovo roster di partenza: confezionato con acquisti che, oggi, prima ancora dell’avvio del campionato di serie D, definiremmo mirati, più propedeutici alla stagione che il club stellato si prefigge di ritagliarsi (il riferimento alle esperienze precedenti è assolutamente voluto). Il nuovo trainer De Luca, assai stimolato nel seppellire l’ultimo torneo consumato sulla panchina del Monopoli e l’onta dell’allontanamento a lavori in corso, si ritrova a dover plasmare under interessanti e over di comprovato mestiere (due nomi su tutti: Zotti e Lanzillotta, che l’allenatore castellanese ha già incrociato proprio a Monopoli, ma anche Gambuzza, Lanzolla, l'ultimo acquisto Anaclerio, lo stesso Lacarra). Gente che, sul campo, fa della personalità una qualità imprescindibile. Proprio il Bisceglie, anche e soprattutto in virtù di questo, si candida sin da ora a contrastare il passo della più titolata del girone appulocampano, il Brindisi di Flora e Chiricallo. Come l’antipasto della Coppa Italia (scontro diretto, domenica scorsa: Bisceglie avanti, Brindisi eliminato) sembrerebbe confermare. Malgrado sappiamo molto bene quanto poco sia attendibile il pallone d’agosto, ma anche quello della competizione tricolore. E nonostante lo stesso De Luca, con sagacia, si dedichi a opportuni esercizi di realismo e di buon senso: nella speranza, magari, di allontanare quel po’ di pressione che si sta lentamente creando attorno alla squadra. Un collettivo completo, che ci piace. E che sembra piacere a più di un osservatore esterno. Appostato, come accennavamo, un gradino appena sotto il Brindisi, in sede di pronostico. Ma una formazione, attenzione, assolutamente di categoria. E’ un dato pesante, non dimentichiamolo.   

mercoledì 3 settembre 2014

Il Lecce e i fantasmi del passato

Terzo anno consecutivo di C: e sembra già un’antipatica abitudine. Ma il Lecce, in terza serie, ci è interamente dentro. E dovrà necessariamente adattarsi, una volta per tutte. E sgomitare, soffrire. Più di prima. Anche perché, se il tempo passa invano, il rancore aumenta. E si alimenta il pessimismo, così come la pressione, la tensione, il nervosismo. Si riparte e, fortunatamente, si riparte con gli stessi presupposti del campionato appena trascorso e di quello ancora precedente: per vincere. Non ci sono fraintendimenti che reggano: anche in questa occasione, la famiglia Tesoro punta alla prima piazza. La sola che dà il diritto a partecipare alla prossima serie B. La questione playoff, del resto, da questa stagione è molto più complicata: con tre gironi e quattro promozioni complessive, capirete immediatamente il motivo. L’assalto alla promozione, poi, è una faccenda che riguarda un gruppo di candidate davvero niente male: dettaglio che non tranquillizza per niente. Si riparte per vincere: anche in mezzo alle polemiche. La società e l’amministrazione comunale non si risparmiano il fuoco incrociato, che bene non fa all’umore dell’ambiente. Anche se l’opinione pubblica ritiene la squadra, riveduta e corretta in estate, sufficientemente temprata. Ecco, la squadra: esordisce sull’onda emotiva della sua qualità, sboccia sul bagaglio tecnico dei singoli e comincia a nutrirsi degli episodi: ad Aprilia, che ospiterà l’intero torneo della matricola Lupa, terza realtà del calcio romano, il Lecce forza immediatamente il risultato e, in qualche modo, prenotando il primo successo di un lungo cammino. Ma, alla distanza, riemergono certi limiti appartenuti alle formazioni di ieri ed avant’ieri. Miccoli e soci non sanno governare il parziale, non si dispongono a blocco unico e disperdono la chance. Vince la Lupa, in rimonta: ed è sùbito malumore. L’estro e la giocata, più o meno isolata, non bastano: come sempre. Il Lecce, piuttosto, ammette i primi scompensi di continuità. Troppo presto, ovviamente, per esprimersi: ma le ultime esperienze maturate nel Salento ammoniscono e allarmano, diciamolo pure. Il passato recente, inevitabilmente, incide. E, ancora più tenacemente, inciderà: soprattutto se la traiettoria della formazione dello squalificato Lerda non dovesse coincidere con il solco delle ambizioni. La gente che tifa potrebbe non essere troppo disposta a perdonare e ad attendere: il pericolo è anche questo. E fa male doverlo sottolineare già dopo soli novanta minuti di calcio vero. E di Lecce ancora distante dalla realtà del campionato. E, forse, di nuovo esuberante di pedine pregiate, ma anche sconosciute ai campi della C.   

martedì 2 settembre 2014

Bari, spirito immutato

Il Bari, la sgroppata esaltante del finale di stagione – quella appena passata – e i segreti del suo successo, al di là del mero risultato guadagnato sul campo: playoff senza promozione finale. Roba di metà giugno scorso. Adesso, però, si sta disegnando una storia tutta nuova. In cui palcoscenico ed attori sono cambiati. Cominciando da Gianluca Paparesta, timoniere di un travaso storico: quello che conduce dal lunghissimo regno dei Matarrese a una società gestita con un nuovo profilo manageriale, lontana dai pericoli sofferti nel recentissimo passato (l’antica Associazione Sportiva, sommersa dai debiti, infatti, non esiste più) e, raccontano i più maligni, ancora avvolta dal mistero dei finanziatori (chi sono, dove sono, sono legati all’ormai potentissimo Lotito oppure no?). Passando da Stefano Antonelli, incaricatosi del peso non indifferente di surrogare l’abbandono del vecchio ds Angelozzi, mente pratica dell’ultimo Bari. Transitando da Denis Mangia, tecnico rampante che si trascina l’alto gradimento di Arrigo Sacchi, ma ormai titolare di una certa esperienza sulla panchina (Varese, Palermo, Under 21, Spezia). E sostituto designato della coppia Alberti-Zavettieri: che, magari, altrove sarebbero stati riconfermati senza indugi: per la bontà del lavoro sbrigato e per il riscontro tangibile ottenuto. Per arrivare a qualche protagonista della squadra che si sta consolidando: Stevanović, Stoian, De Luca, Rossini, Ligi, Wolski, Minala, Donnarumma, Gomelt, Donati e altri ancora. Protetti, intanto, dal  blocco conservato (Sabelli, Galano, Sciaudone, Calderoni, Romizi, Guarna, lo stesso Defendi). Senza dimenticare Caputo: un acquisto vero e proprio, malgrado non lo sia, in realtà. Un attaccante che, smaltita la lunga squalifica, si fa trovare pronto, monetizzando bene rabbia e motivazioni. E che, di fatto, inaugura il campionato di questo Bari. La vittoria contabilizzata sabato a  Chiavari, casa della neopromossa Entella, parte dalla sua firma, a cui si affianca il sigillo di Galano, a match quasi esaurito. Ma il successo in Liguria è, senza volersi soffermare sullo spessore dei singoli, il prodotto di un atteggiamento ancora spavaldo e genuino. Questo collettivo, ad una prima analisi, sembra cioè aver ereditato la mentalità di quello che l’ha preceduto. La squadra osa e trova. Imposta e rifinisce. In certi scampoli di match, anzi, il compito diventa persino facile: lo ammette senza perifrasi pure il tecnico avversario. Ed è proprio questo, forse, il dettaglio che deve insospettire. Mangia, così,  attende la controprova e fa bene. Ma, se lo spirito del gruppo è immutato, confidare nel domani è perfettamente lecito. La spinta della gente sugli spalti, oltre tutto, ci sarà ancora. Come nel rush finale di un campionato fa.

lunedì 1 settembre 2014

Monopoli e San Severo, primi indizi utili

La Coppa Italia, come tradizione, distribuisce i primi indizi. E le impressioni ricavate spingono ad approvare l’approccio alla stagione del Monopoli. Al di là del risultato (tre a uno sul San Severo e passaggio automatico al secondo turno della competizione, dove adesso dovrebbe incrociare il Francavilla), la formazione curata da Passiatore si sforza – riuscendoci – di perseguire una manovra fitta, dove la palla resta a terra, il più possibile ordinata. Malgrado l’impatto con la gara risulti un po’ pesante, lento. Anzi, da sùbito, sembra più pronto l’avversario: il 4-1-4-1 pensato dal tecnico dauno De Felice si modifica solo ed esclusivamente quando si punta la porta avversaria e i due laterali in mediana (l’interessante Mastrangelo, un ’95, e Ferrante) salgono. Il giovane San Severo (c’è anche un ’97, dietro: si tratta di Galullo, tecnicamente un po’ acerbo, ma fisicamente dotato e in possesso di buona personalità) ci mette spensieratezza e coraggio. L’idea tattica si sviluppa principalmente attorno alle verticalizzazioni che cercano il maturo Carminati, nutrendosi della quantità di Dell’Aquila e della vivacità di un altro under interessante, il laterale basso Cicerelli. Quanto basta per preoccupare l’esperienza del pacchetto arretrato del Monopoli: a cui, peraltro, il giovane portiere Pino non riesce a garantire totale tranquillità. La formazione di casa (si fa per dire: il neutro è quello di Fasano: il Veneziani è ancora sottoposto a lavori di maquillage) s’industria per architettare un calcio più cerebrale: ma El Kamch si accosta alla gara con un po’ di ritardo e Gori deve ancora sbocciare (lo farà alla mezz’ora). Il vantaggio ospite, dopo diciotto minuti, ha il sapore dello schiaffo morale e, allora, il Monopoli (4-2-4 in fase di possesso) si sveglia. Murano, uno che possiede lo spunto, il fisico, la progressione, discreti mezzi tecnici e che, soprattutto, sa interagire con la squadra, rimedia immediatamente. Assieme a lui, lievita anche il compagno di reparto Manzo, che si lascia apprezzare più in fase di ultimo passaggio, piuttosto che nel ruolo di finalizzatore (e, comunque, il terzo sigillo del match porterà in calce la sua firma). Come detto, con il passare dei minuti, Gori si impossessa delle chiavi della mediana e, nel frattempo, la terza linea si assesta. Ma, soprattutto, piace la catena di destra: Russo (‘96) scende con autorità e, nonostante si perda in un paio di occasioni, garantisce sostegno continuo e verve; il più avanzato Difino (’95), corre, suggerisce e, appena può, conclude. Il Monopoli, trovate le coordinate giuste e i colpi dei singoli, raddoppia prima dell’intervallo e triplica in apertura di ripresa, chiudendo virtualmente il match con anticipo largo. Rischiando, peraltro, di dilagare appena il San Severo si affloscia atleticamente. De Felice, oltre tutto, a metà gara ringiovanisce ulteriormente la base difensiva con Pepe (tre under su quattro, orchestrati dal navigato Campanella): alla distanza, cioè, la differenza di mestiere e di caratura globale si sente tutta. La gente di Passiatore, così, si guadagna un po’ di consensi che garantiscono morale, alimentando l’entusiasmo della piazza. Logico, però, che la prestazione positiva debba finire per essere inquadrata nel contesto: giusto per non accarezzare illusioni che potrebbero rivelarsi ingannevoli. E che le possibilità del Monopoli debbano quanto prima essere verificate di fronte ad una squadra più esperta e più longeva. Due caratteristiche che la volontà del San Severo non è riuscita a consegnare a se stesso e al campionato che sta per partire.  

domenica 31 agosto 2014

C unica, il primo derby è del Foggia

Il ripescaggio rallenta i tempi di inserimento nel cuore della stagione. E il Martina, burocraticamente ammesso alla terza serie nazionale, si costruisce e si completa in netto ritardo. Slitta la preparazione, si concentra il lavoro quotidiano: e qualcosa va tralasciato, inevitabilmente. Eppure, l’esordio di Coppa non è male, complessivamente: la presenza di alcune pause e l’assenza di certi movimenti non impediscono alla formazione allestita da Palomba e Ciullo di resistere degnamente al più rodato Matera, che comunque avanza verso il secondo turno della competizione. Il campionato, una settimana dopo, conferma determinati segnali che offrono il coraggio necessario per affrontare l’avventura, ma il risultato è amaro. Il tre a due di Foggia, peraltro, aiuta ad avvicinarsi psicologicamente alla realtà di un girone, quello meridionale, mediamente competitivo e più che discretamente assortito: che il Martina approccia con difficoltà, ritrovandosi sotto di due gol dopo soli venticinque minuti di gioco. Anche per questo, il peso specifico del gol di Pellecchia (uno che verrà utile nel 4-2-4 che il tecnico sta cercando di organizzare e plasmare) è alto: perché il match si riapre immediatamente. La formazione di Brescia, però, è atleticamente più tonica e qualche distonia in fase di presidio non le preclude la strada. La terza marcatura dauna arriva agli albori della seconda frazione di gara, finendo forse per appagare prima del tempo i languori di Agnelli e soci: di questo, del resto, si lamenterà a cose fatte Totò Ciullo, pronto a sottolineare l’incapacità della sua squadra di approfittare del calo di tensione avversario. Arcidiacono, tra i pochi sopravvissuti dello scorso campionato, lavora tanto e bene. Poi, un penalty trasformato da Montalto a metà ripresa sembra riavvicinare il Martina alla mèta del pari: l’onda d’urto, tuttavia, è debole. E, in più, il Foggia mantiene la lucidità che serve per scollinare verso il successo, rischiando poco. E sforzandosi, anche nei momenti meno brillanti del match, di mantenere un  atteggiamento propositivo. Che, probabilmente, finisce per solleticare Iemmello, artigliere arrivato di recente e sul quale il tecnico intende puntare apertamente. Non solo per le qualità realizzative (suo il sigillo che sblocca lo score, al minuto quindici, e sua la conclusione che destabilizza la difesa ospite in occasione del tre a uno firmato da Cavallaro), ma anche per quella propensione a gestire il pallone e a far salire il collettivo. Un collettivo obbligato, però, a lavorare ancora molto: anche sull’intensità.

domenica 3 agosto 2014

Martina, bentornato in C

L’attesa silenziosa, certe volte, paga. Forse, solo perché i requisiti per riemergere ci sono tutti. Come il palazzo del calcio, al momento opportuno, certifica: rispettando le attese della piazza e ricollocando burocraticamente il Martina dov’era, prima della retrocessione. Magari, soltanto perché la strada è già sufficientemente segnata da argomentazioni forti (lo stadio a norma, l’assenza di una massa debitoria preoccupante, i trascorsi sportivi) che vanno semplicemente sostenuti da un’operazione diplomatica robusta e tenace. Se ne parlava da tanto. E, alla fine, arriva: il ripescaggio nella nuova terza serie zittisce tutte assieme le preoccupazioni dell’ambiente (per le incognite che spesso si accodano ad un insuccesso ottenuto sul campo e per l’apparente immobilismo di un’estate vissuta a controllare il traffico) e il malanimo avvampato e mai sopito ai tempi della gestione Cassano. Quando la Fiorentina bypassò il Martina, conquistando la B a tavolino. E, più tardi, quando il vecchio patron decise di decapitare il pallone in Valle d’Itria. Inutile girare troppo attorno, però: la rapidità di esecuzione dei lavori di miglioria all’impianto di via della Sanità si sono rivelati decisivi. Così come le garanzie assicurate da un blocco societario ricompattatosi in fretta, con intelligenza. Pericolo serie D evitato, allora. In quarta serie, diciamolo chiaramente, sarebbe stata tutta un’altra storia. Da riappaltare con pazienza e con moneta contante: tanta. Da affrontare con un certo fastidio e, probabilmente, scarse prospettive (altri club di quarta serie sono avanti col lavoro e, invece, il nuovo Martina va ancora formato, anche se il tecnico Cullo avrà certamente disegnato due programmi e due organici di massima, uno per la C e uno per il campionato interregionale). Ecco, in D il Martina si sarebbe allineato con motivazioni limitate e ambizioni ridotte: un campionato di transizione, per capirci. In terza serie, invece, sarà sufficiente salvarsi: e, con tre retrocessioni su venti squadre, si può fare, muovendosi con oculatezza. Pur partendo con un certo ritardo sui tempi. Perché, parlandoci chiaro, anche questa volta sarà molto più agevole aggirare la retrocessione in D che pianificare l’assalto alla C. Come accade da un po’ ormai. Sembrerà strano e, chissà, lo è davvero. Ma è assolutamente così. Fidatevi.